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Messaggio Da Ospite Sab Set 13, 2008 5:27 pm

La scuola dove i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze si incontrano per apprendere i fondamenti della convivenza civile è in grave pericolo.
Da molti anni i governi che si sono avvicendati hanno attuato sempre e soltanto una politica di tagli, semplificatrice di un sistema complesso e delicato, aumentando costantemente i finanziamenti alle scuole private e agli armamenti.
Adesso è in atto una ancor più profonda regressione:
la forbice estiva di Tremonti vuole tagliare altri 140.000 posti fra insegnanti e personale tecnico amministrativo mentre fra il 2009 ed il 2011 la scuola pubblica pagherà un tributo di 8 miliardi di euro al risanamento della finanza nazionale. Intanto la ministra Gelmini parla della scuola come “macchina erogatrice di stipendi e tipografia di diplomi”.
Ma noi:
- siamo contrari/e ad un modello di scuola più povero per i più poveri che finisce per garantire solo chi può permettersi gli studi migliori;
- siamo contrari/e ad una ulteriore riduzione del numero degli insegnanti; all’aumento del precariato; al sovraffollamento delle classi che impedisce di fatto il diritto allo studio e l’integrazione degli alunni con disabilità, migranti e rom, sia nella grandi che nelle piccole città, nonché il rispetto delle norme sulla sicurezza; alla cancellazione dei corsi serali e delle sezioni ospedaliere;
- siamo contrari/e all’inserimento di procedure aziendali nella gestione della scuola ed allo stravolgimento dei suoi fondamenti collegiali di autogoverno e partecipazione;
- siamo contrari/e ad una scuola autoritaria e gerarchica e all’assunzione diretta del personale da parte dei dirigenti scolastici;
- siamo contrari/e alla riduzione del tempo dello stare a scuola, del tempo pieno, pieno perché ricco di potenzialità;
- siamo contrari/e al 5 in condotta per chi non vuole ubbidire ed alle sue conseguenze sulla valutazione. Un voto che certo non serve contro il “bullismo”;
- siamo contrari/e al grembiulino-divisa per i nostri bimbi e le nostre bimbe ed alla maestra unica, unica perché “tuttologa”.
- siamo contrari/e ad un obbligo scolastico assolto nei “corsetti” di formazione professionale rivolti a chi “non è adatto allo studio vero”;
- siamo contrari/e ad una visione punitiva del lavoro pubblico, apertura a più profonde e devastanti privatizzazioni;
- siamo contrari/e all’aumento del costo dei libri di testo, ma anche alla demagogica idea di un libro ”on line” obbligatorio.
-
Contrarietà maturate nel nostro concreto fare scuola.
C’è bisogno invece di investimenti certi, di personale stabile, di aule sicure e accoglienti, di attrezzature, laboratori e palestre moderne ed efficienti, di una riflessione seria su metodi e contenuti.

NON CERTO DI UN RETORICO RITORNO AL PASSATO!
L’80% DEI NOSTRI ISTITUTI NON SONO A NORMA!
Facciamo appello a tutti i cittadini, le cittadine, a tutto il personale, agli studenti a tutti quelli e quelle che condividono un' idea di scuola e quindi di società in antitesi completa rispetto a quella prospettata da questo governo, perché facciano sentire la loro voce contro chi vuole minare le basi della democrazia nel nostro paese e per la difesa ed il rilancio di una scuola pubblica come diritto ad un percorso di emancipazione e come bene pubblico da nord a sud.

Perché la scuola pubblica torni al centro della mobilitazione del paese, per l’abolizione delle leggi Moratti ed il ritiro dei provvedimenti governativi, proponiamo di incontrarci il 17 settembre alle ore 16.30 in un'assemblea presso l’Itis-Liceo sc.tecnologico “G.GALILEI” di vIAREGGIO per discutere e stabilire forme di mobilitazione.
All’assemblea sono stati invitati esponenti delle organizzazioni sindacali.

COMITATO VERSILIESE PER LA DIFESA DELLA SCUOLA PUBBLICA STATALE

Per contatti:
Lucia Balduini lucia.balduini[chiocciola]alice.it
Alberto Giorgi info[chiocciola]prcversilia.i

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Messaggio Da Arser Mar Set 30, 2008 12:23 am

“Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito. Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c’è un’altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime..Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi: ve l’ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico”


Piero Calamandrei - discorso pronunciato al III Congresso in difesa della Scuola nazionale a Roma l’11 febbraio 1950
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Messaggio Da Arser Mar Set 30, 2008 2:04 am

Quando si parla di 68, si intende prevalentemente un movimento riformista nato all'interno delle Università italiane e portato avanti dagli studenti che contestavano il sistema autoritario e classista della scuola italiana innestando, per la prima volta in modo efficace nelle rivendicazioni, il ruolo che l'istruzione aveva nei confronti degli individui, denunciando i meccanismi di riproposizione e mantenimento delle differenze sociali.
Il valore autentico di quella protesta, a livello politico, sociale ed economico era l'attacco alla scuola dei padroni come attacco alla società dei padroni.

Vi riporto ora, per creare uno spunto di riflessione inter nos, alcuni stralci dei documenti e delle "Carte Rivendicative" elaborati dagli studenti, i quali non si limitarono a formulare proposte di riforme universitarie, ma tesero a spiegare le ragioni profonde e lontane dell'allora malessere, e a prefigurare in una diversa struttura della scuola un nuovo tipo di società.

P.S. per qualcuno potranno sembrare vecchi.... ma teniamo conto che la Gelmini vorrebbe tornare ancora più indietro. E' con la realtà che dobbiam confrontarci. E questi documenti lo sono stati, come gli studenti che in quel tempo han portato avanti le lotte.
Ah, se vi sembra troppo lungo lasciate perdere.. nessuno vi interrogherà mai. Smile

PER UN NUOVO 68!

Facoltà di Lettere, Legge, Magistero. Università di Torino.

DIDATTICA E REPRESSIONE
16 gennaio 1968.


-La didattica tradizionale.
[...]
Per il docente l'università è un feudo, per lo studente è soltanto un apparato repressivo, dove si esercita quotidianamente una forma di violenza che è tanto più ingiusta quanto più è mascherata sotto le spoglie delle esigenze dell'apprendimento e della formazione professionale. Gli esami, le lezioni, la perdita di tempo, l'indottrinamento, i provvedimenti disciplinari, l'imposizione dall'alto della scienza e della cultura sono tutte forme di controllo e di violenza esercitate solo sullo studente e non sembrano esserlo solo perchè gli studenti si sono assuefatti a subirle e le considreano una cosa assolutamente normale e inevitabile.
[...]
A che cosa serve l'università italiana? Serve soltanto ad indottrinare gli studenti, a renderli autoritari, e incapaci di discutere, a far perdere loro la capacità di individuare la dimensione politica e sociale di quello che studiano.
Perchè gli studenti all'università devono imparare a comandare e ad obbedire, devono disimparare a discutere, devono sapere che la Scienza e la Cultura sono proprietà privata dei docenti e che per appropiarsene bisogna sottostare alle loro vessazioni.

-La nuova didattica.
Gli studenti [...] hanno voluto riaffermare e cominciare a costruire la propria autonomia culturale e politica difronte ai docenti.
Scegliere i contenuti dei controcorsi, imparare a discutere (la scuola e l'università ci hanno fatto disimparare a discutere), studiare collettivamente e non in modo individuale, vedere l'incidenza politica e sociale di quel che si studia, imparare a pensare e a parlare autonomamente e non su comando, imparare a stabilire dei rapporti egualitari e di parità tra chi è preparato e chi non lo è, non considerare più il sapere come un privilegio e una fonte di prestigio, imparare a controllare ed a discutere con i docenti una volta che questi rientreranno all'università, [...].
[...]
La lotta contro l'autoritarismo accademico ha un aspetto didattico e uno politico. Tutte le volte che si mette in discussione il potere, anche soltanto quello baronale e feudale, delle nostre strutture universitarie, si ingaggia una battaglia politica.
Fare politica significa lottare per la contestazione e la ridistribuzione del potere. Significa sempre e comunque inserire un elemento squilibrante e disfunzionale nel meccanismo di potere del sistema sociale; il quale ovviamente reagisce.


-Paternalismo e repressione
All'inizio alcuni [docenti] hanno cominciato a sostenere che ci facevamo strumentalizzare da forze politiche esterne, che occupavamo senza sapere neppure noi perchè, per creare disordini che eran voluti e diretti da una ben identificata potenza straniera: la Cina è vicina. [...] I più decisi [...] hanno deciso di far morire l'occupazione per esaurimento interno; hanno cominciato a tenere lezioni al rettorato, hanno incitato gli studenti alla divisione (studenti buoni in rettorato, studenti cattivi a Palazzo Campana).
Per dividerli ovviamente facevano l'appello.
[...] L'idea che gli studenti discutessero, studiassero, imparassero qualcosa senza la luce eccelsa dell'indottrinamento accademico sfuggiva completamente alla capacità di comprensione dei nostri docenti. L'atteggiamento prevalente era di generica sopportazione paternalistica: fatevi i vostri esperimenti, rendetevi conto che non valete nulla e che siete soltanto dei presuntuosi, quando vi sarete stancati riprenderemo a far lezioni ed esami.
Il Senato accademico ci ha persino fatto gli auguri di Natale.
Tre gorni dopo è arrivata la polizia e ci ha cacciati da Palazzo Campana e dalla facoltà di Architettura.
Che cos'era successo?
I professori si son resi conto che stavano perdendo il controllo sugli studenti. La radice dell'autoritarismo accademico, come tutte le forme di potere autoritario, non risiede soltanto in una serie di strutture istituzionali ed economiche, ma risiede soprattutto e in primo luogo nel consenso da parte di coloro che il potere lo subiscono. L'università è organizzata in modo da creare e conservare questo consenso, cioè in modo da mantenere gli studenti in uno stato di pssività e divisione reciproca. E' questo che intendiamo dire quando affermiamo che la didattica autoritaria è una forma di violenza esercitata sugli studenti.
[...]
Ma se gli studenti sanno organizzarsi e imparano a discutere, essi riconquistano la loro autonomia e individuano rapidamente i veri problemi. La loro forza cresce e non diminuisce, la certezza di essersi messi sulla strada giusta li rafforza nella loro volontà di continuare, il loro esempio costituisce un elemento potenziale di generalizzazione dell'agitazione agli altri studenti non ancora toccati dal movimento. [...] I mezzi per dividere gli studenti hanno sempre meno presa, i discorsi sulla strumentalizzazione fanno ormai ridere tutti, le campagne denigratorie non hanno più peso.
Il muro di omertà e di silenzio creato intorno alle forme e alle motivazioni politiche dell'agitazione comincia a spezzarsi. Bisogna ricorrere alla forza.

-Andiamo avanti.
Il giorno dopo [lo sgombero], in un'assemblea convocata alla Camera del lavoro, eravamo 300. Trecento studenti il 28 dicembre, senza nessuna forma di convocazione per iscritto. Nello stesso giorno il Senato accademico, che raccoglie i massimi responsabili della gestione dell'università, non ha potuto venir convocato perchè la maggioranza dei presidi era in montagna a sciare.
Due giorni dopo abbiamo rioccupato Palazzo Campana, improvvisamente, senza aver prima organizzato la cosa, passando davanti ai poliziotti che facevano il picchetto. Lo abbiamo fatto perchè eravamo in molti; ci sentivamo forti, e volevamo riaffermare la nostra volontà di restare dentro la facoltà occupata, perchè questa è la sede legittima e appropriata per organizzarvi e svolgervi la nostra agitazione.
[...]
Si cerca di impaurire gli studenti, di creare delle difficoltà familiari ed economiche agli studenti in lotta. Si sta giocando l'ultima carta per dividerli. Se siamo convinti della giustezza del nostro movimento, dobbiamo accettare il nuovo livello di lotta che ci è stato imposto dalle autorità accademiche. [...] la nostra è una battaglia politica e non c'è lotta senza rischi.
Dobbiamo riconquistarci il diritto ad occupare le sedi universitarie quando le attività didattiche non ci soddisfano oe anzi ci opprimono. Dobbiamo andare avanti e vincere [...], perchè cedere e ritirarci oggi, perchè avere paura della polizia o delle sanzioni disciplinari, significa venir sconfitti e ritornare alla didattica tradizionale: cioè riconoscere ai professori il diritto di dividerci, di opprimerci, di manipolarci e indottrinarci, di controllarci come poliziotti durante gli anni di università e di fare di noi dei qualunqisti, degli automi, che domani andranno a lavorare per opprimere degli altri uomini o per accettare passivamente di venire oppressi.
[...]
Lottare contro la didattica autoritaria significa anche lottare contro le istituzioni e le forme di repressione che cercano di farci ritornare al punto di partenza.


Movimento Studentesco, (aprile 1968); "Documenti della rivolta universitaria", pag.263-271, Laterza.

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