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No all’aggressione imperialista al Venezuela!

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Messaggio Da Ospite Ven Set 12, 2008 10:54 pm

No all’aggressione imperialista al Venezuela! Morales_chavez

Venti di golpe minacciano Bolivia e Venezuela ed in tutti e due i casi è evidente la lunga mano degli Stati Uniti. L’altro ieri il presidente della Bolivia ha dichiarato persona non grata l’ambasciatore Usa a La Paz, Goldberg, espellendolo dal paese.
Come ritorsione Bush vuole fare lo stesso con l’ambasciatore boliviano a Washington. Goldberg è stato pienamente coinvolto nell’escalation di violenza provocata dalla destra reazionaria boliviana che ha la sua roccaforte a Santa Cruz e nelle altre provincie dell’oriente del paese. Di recente lo stesso Goldberg si è recato a Santa Cruz ad incontrare il prefetto locale, Ruben Costas. Un altro dei capi della rivolta, Branko Marinkovic, presidente della Conalde (Consiglio nazionale democratico, la centrale organizzativa delle forze reazionarie) è stato invece negli Stati uniti non più tardi della settimana scorsa.
I preparativi per questa nuova offensiva dell’oligarchia sono stati fatti quindi alla luce del sole e mirano a destabilizzare il paese ed al rovesciamento del governo democraticamente eletto di Evo Morales. Nella giornata di ieri almeno otto persone sono state uccise, la maggior parte in un'imboscata ad opera di bande fasciste. Almeno trenta uffici governativi sono stati presi d’assalto ed alcuni dati alle fiamme, tra cui la sede dell’Entel, l’azienda di telecomunicazioni, da poco nazionalizzata (prima era di proprietà di Telecom Italia).
Sono stati occupati aeroporti, ferrovie, la dogana, radio e tv di stato. Simili azioni si sono verificate anche a Beni, Pando e Tarija. La polizia è stata respinta ovunque dagli insorti anche perché ha ricevuto ordini precisi di non usare le armi da fuoco contro i manifestanti.
L’opposizione in Bolivia rappresenta gli interessi dei grandi gruppi industriali e bancari, alleati all’imperialismo americano e straniero. Il referendum del 10 agosto ha dimostrato l’appoggio crescente a Morales che non potrà quindi essere rimosso a breve attraverso il voto. È in programma un referendum sulla costituzione per il prossimo dicembre dove i cambiamenti proposti dal governo del Mas implicano una perdita di potere considerevole da parte dell’oligarchia. Allo stesso tempo il referendum revocatorio ha confermato in sella, pur con una perdita significativa di appoggio, anche i governatori della destra che ora utilizzano questa posizione istituzionale per organizzare il colpo di stato. Siamo quindi ad una svolta decisiva della lotta di classe in Bolivia in una situazione che ricorda molto il colpo di stato contro Allende in Cile nel 1973 e quello fallito contro Chavez dell’aprile 2002.
La decisione di espellere l’ambasciatore Usa è corretta, ma di per sé non fermerà la cospirazione. Finora il governo Morales ha risposto facendo un appello alla borghesia perché torni alla legalità. Il ministro alla Presidenza, Juan Ramon Quintana ha chiesto che “la magistratura prenda dei provvedimenti contro i responsabili e li conduca davanti al giudizio dei tribunali”. Il problema è che la magistratura a Santa Cruz è alleata dell’oligarchia, e non farà niente del genere.
Le masse stanno rispondendo alle provocazioni della destra costruendo blocchi stradali a Santa Cruz, per isolare i golpisti. Sembra che il governo abbia chiesto ai propri sostenitori di interrompere queste azioni. All’aggressione dell’oligarchia non si può tuttavia rispondere rimanendo all’interno dei limiti della democrazia borghese, che l’oligarchia stesso ha deciso di non rispettare con questa sollevazione. Si deve rispondere con la mobilitazione di massa. I blocchi stradali devono essere estesi e le bande fasciste devono essere isolate. Queste sembrano le intenzioni di organizzazioni come la Conalcam (Coordinadora Nacional para el Cambio) che ha convocato anche una manifestazione nazionale che arrivi fino al parlamento nazionale. Le masse devono autorganizzarsi e rispondere colpo su colpo alla destra. Comitati di autodifesa devono essere formati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei contadini per spazzare via i fascisti dalle strade. Le proprietà dei golpisti e dei grandi capitalisti devono essere espropriate e poste sotto il controllo dei lavoratori. In una situazione come questa non ci possono essere mezze misure.

Ancora una volta è risultata chiara tra l'altro l'impossibilità di costruire un'alternativa per il continente latino americano su basi capitaliste. Il Brasile, che secondo i sostenitori della cosiddetta teoria del “blocco regionale latino americano” avrebbe dovuto schierarsi senza esitazioni a fianco di Morales, ha implicitamente riconosciuto la possibile secessione reazionaria dello Stato di Santa Cruz. Dietro ad una cortina di fumo di belle frasi sulla legittimità democratica di Morales, il ministro degli esteri brasiliano ha affermato che, se la Bolivia non si fosse dimostrata in grado di garantire le forniture di gas, avrebbe intavolato trattative direttamente con i prefetti locali dell'opposizione. Non c'è niente di cui stupirsi: il Brasile rimane un paese capitalista che riceve il 50% delle proprie forniture di gas dalla Bolivia. Gli interessi dei lavoratori brasiliani, uniti indissolubilmente ai loro compagni boliviani, non coincidono con quelli della classe dominante brasiliana e nemmeno con la politica del Governo Lula.

Che le forze della reazione siano all’attacco è dimostrato anche dai preparativi di un colpo di stato in Venezuela, svelati da un programma televisivo due giorni fa. Un filmato mostrava un gruppo di militari, alcuni in attività e altri in congedo, che si stavano preparando ad assaltare il Palazzo di Milaflores, residenza del Presidente Chavez e sede del governo. (guarda il filmato in spagnolo). Tra di loro c’erano anche alcuni fra i protagonisti del colpo di stato fallito nell’aprile del 2002. Scandalosamente molti dei golpisti di sei anni fa sono infatti ancora in libertà. Subito le masse hanno reagito radunandosi attorno a Miraflores.
Chavez ha correttamente collegato questo tentativo golpista con ciò che sta accadendo in Bolivia ed ha espulso l’ambasciatore Usa a Caracas in solidarietà con Morales. Ha anche minacciato gli Stati uniti di interrompere le forniture di petrolio, fondamentali per l’economia di Washington. L’amministrazione Bush è spaventata dalla radicalizzazione dei movimenti di massa in America latina, comprende come l’imperialismo stia perdendo il controllo del subcontinente e reagisce in maniera disperata. La minaccia reazionaria è tuttavia molto seria e vi si può rispondere solo con la mobilitazione delle masse. Ricordiamo come sia stata solo la pronta risposta di milioni di giovani e lavoratori il 13 aprile 2002 ad impedire la vittoria del golpe contro Chavez.
Oggi si deve fare tesoro di questa esperienza, comprendendo che la sconfitta definitiva della borghesia e dell’imperialismo si potrà ottenere solo abbattendo il sistema capitalista e costruendo una federazione socialista dell’America Latina. Mai i tempi sono stati così maturi. Porre fine al capitalismo sia in Venezuela che in Bolivia costituirebbe un esempio eccezionale da seguire per le masse del continente e del resto del mondo
Il nostro compito in Italia è non fare sentire soli i nostri compagni di lotta latino americani, spiegare cosa sta effettivamente succedendo in questi paesi ed intensificare le azioni di solidarietà alla rivoluzione boliviana e venezuelana.
Le organizzazioni dei lavoratori e della sinistra, ed in particolare il Prc, devono organizzare assemblee, presidi e proteste davanti all’ambasciata e ai consolati Usa affinché i progetti reazionari di Bush e dei suoi amici siano respinti.

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No all’aggressione imperialista al Venezuela! Empty L’America integrazionista reagisce e si stringe intorno alla Bolivia, minacciata dal terrorismo secessionista finanziato da Washington e sull’orlo della guerra civile

Messaggio Da Ospite Ven Set 12, 2008 11:01 pm

La situazione in Bolivia è drammatica. Nella giornata di ieri forze paramilitari facenti capo al prefetto (governatore) dell’opposizione del dipartimento di Pando, hanno provocato una strage di contadini che ha causato otto morti. Un altro grave attentato terroristico, con danni per 100 milioni di dollari nel gasdotto che esporta il gas boliviano verso il Brasile, è stato condannato da tutti, meno che dal governo statunitense. Quell’attentato terroristico è parte di una strategia di destabilizzazione giunta al punto di non ritorno e che non colpisce solo la Bolivia ma tutta l’America latina integrazionista.

Ma la Bolivia non è sola: in un comunicato congiunto i governi del Brasile, del Cile, dell’Argentina e del Venezuela hanno affermato che “non riconosceremo nessun governo che pretenda di sostituirsi a quello democratico eletto dai boliviani e confermato in un referendum appena un mese fa con quasi il 70% dei voti”. Le parole più pesanti le ha usate il governo del brasiliano Lula da Silva: “il Brasile non tollererà, ripetiamo, non tollererà, nessuna rottura dell’ordine democratico in Bolivia”. La battaglia della Bolivia è quella di tutta l’America latina.


L’opposizione secessionista e golpista, dopo la durissima sconfitta subita nel referendum revocatorio dello scorso dieci agosto, quando il governo legittimo di Evo Morales sfiorò il 70% dei voti, ha scelto dunque la via del terrorismo e della guerra civile. Sta cercando di ripetere il 2002 venezuelano, quando un colpo di stato sanguinoso, appoggiato dai governi statunitense e spagnolo e dal Fondo monetario internazionale, fu però spazzato via in 48 ore da milioni di cittadini venezuelani scesi in piazza in difesa del governo di Hugo Chávez. La stessa sorte toccò alla serrata golpista contro la PDVSA, la compagnia petrolifera di stato. Anche il sabotaggio dell’economia del paese fu sconfitto dalla resistenza popolare.

La Bolivia democratica, appena ieri costretta a espellere l’ambasciatore degli Stati Uniti Philip Goldberg, accusato di organizzare e finanziare la secessione delle province più ricche del paese, ha i mezzi per difendersi. Nonostante la rappresaglia statunitense, che ha espulso l’Ambasciatore boliviano e quello venezuelano e tirato fuori dal cilindro accuse di narcotraffico per funzionari del governo venezuelano, la Bolivia democratica può contare sulla reazione in propria difesa di tutti i più importanti governi dell’America latina integrazionista.

Tutti insieme, senza i pudori e le paure che hanno contraddistinto per decenni le relazioni con le oligarchie delle diverse nazioni e con Washington che queste ha sempre appoggiato, il concerto latinoamericano si è unito intorno a Evo Morales per dire all’opposizione e a Washington che non è più tempo di colpi di stato in America latina. E’ esattamente quello che prevede la carta della OEA, (l’organizzazione degli stati americani): nessun sovvertimento di governi democraticamente eletti sarà più accettato in America. Anche in questo caso stride il silenzio del governo degli Stati Uniti, un silenzio che invece appoggia apertamente la sovversione violenta del governo legittimo boliviano. Ma dell’appoggio statunitense al golpismo e al terrorismo, statene certi, i giornali di domani non faranno parola e invece parleranno d’altro.

L’escalation è iniziata. Il governo brasiliano ha denunciato che la propria Ambasciata a La Paz sta da giorni cercando di comunicare con l’opposizione ma che questa, semplicemente, rifiuta qualsiasi contatto con il governo del più importante paese della regione. Il Brasile vuole trovare una maniera di alleggerire la situazione e aprire una prospettiva di dialogo. L’opposizione, manovrata e finanziata da agenzie statunitensi come la USAID e il NED, non vuole il dialogo perché vuole portare la situazione ad un punto di non ritorno, alla caduta del governo legittimo, al golpe o alla piena guerra civile.

Dall’Argentina la stessa presidente Cristina Fernández ha espresso la sua durissima condanna per “il sabotaggio terrorista” e “condanna le azioni violente promosse dalle autorità locali [dei dipartimenti controllati dall'opposizione] del quale si rende protagonista l’opposizione” ed ha affermato che “l’Argentina è fermamente decisa a difendere l’integrità territoriale boliviana e conferma il suo pieno e incondizionato appoggio al governo di Evo Morales”.

Con un discorso franco si è espresso in pubblico il presidente venezuelano Hugo Chávez (vedi video), anch’egli sotto rumor di sciabole e vittima delle continue ingerenze statunitensi, e già sopravvissuto al golpe dell’11 aprile del 2002. Chávez, come misura di solidarietà alla Bolivia, ha espulso l’Ambasciatore statunitense a Caracas e richiamato il proprio da Washington e con parole durissime ha dichiarato che sarà disponibile a ristabilire relazioni diplomatiche solo con il prossimo governo degli Stati Uniti: “gli statunitensi devono imparare a rispettare i popoli dell’America latina”.

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Messaggio Da Ospite Ven Set 12, 2008 11:03 pm

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