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I nostri errori e il futuro di Rifondazione Comunista

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I nostri errori e il futuro di Rifondazione Comunista Empty I nostri errori e il futuro di Rifondazione Comunista

Messaggio Da Ospite Gio Ago 14, 2008 12:07 am

Intervista ad Alberto Burgio
Su Liberazione del 09/08/08

Alberto Burgio, non era proprio possibile evitare la spaccatura in due del Prc e lo strascico di polemiche, in cui ognuno dà la colpa all'altro?
Io non credo che la spaccatura fosse inevitabile. Si poteva e si doveva cercare di salvaguardare l'unità del partito. A Chianciano molti di noi hanno provato in tutti i modi ad arrivare ad un esito unitario perché lo ritenevano possibile. Quanto agli strascichi polemici, capisco che un congresso così drammatico, in un momento così difficile per il partito e per la sinistra, abbia alimentato anche dei risentimenti, ma è tempo di voltare pagina. Non si può continuare con polemichette personali, con toni esasperati fuori dalle righe, come quando si sostiene che nel partito è minacciata l'incolumità fisica o si dichiara di voler fare un partito nel partito. A tanti di noi è capitato di stare in minoranza in anni in cui essere minoranza nel Prc non era affatto facile. Però lo siamo stati sempre in modo leale e costruttivo: avanzando critiche ma mai arrivando a parlare in questi termini. Auspico che si faccia tutti un passo avanti.
Sembra di capire dall'intervista di Giordano che "Rifondazione per la sinistra" non intende partecipare alla manifestazione di ottobre promossa da Ferrero.
Naturalmente ho il massimo rispetto per le scelte di ciascuno. Ma aggiungo che non condivido questa scelta e che mi auguro che ci ripensino. Da una parte questi compagni dicono di essere la metà del partito; dall'altra mi pare si comportino come una minoranza litigiosa. Se sei la metà di un partito devi sentirne anche la responsabilità. Per questo insistiamo con la proposta di gestione collegiale. Pensiamo che tutti abbiano il diritto ma anche la responsabilità di contribuire alla elaborazione e alla realizzazione della linea del partito. Una volta che le scelte sono compiute, applicare la linea del partito deve essere un impegno per tutti. Se non fosse così, allora vorrebbe dire davvero che siamo una federazione di partiti. Mi permetto di rivolgere un appello ai compagni di questa componente affinché riflettano e accettino la proposta della gestione unitaria del partito.


Resta il nodo della diversa interpretazione delle cause della sconfitta elettorale e politica.

Se è per questo vi sono differenze anche su tanti altri nodi. Ma la differenza va elaborata politicamente, con uno sforzo comune di arrivare alla sintesi. E' vero, ci sono diverse diagnosi della sconfitta di aprile. Sin qui la riflessione sulle sue cause è stata insufficiente. Non sono tutte cause di breve periodo. Io, per esempio, concordo sul fatto che la sconfitta elettorale è maturata sullo sfondo di una reale egemonia della destra, che data da una ventina d'anni. L'egemonia della destra prende corpo con il suicidio della sinistra in Italia. In quest'ottica, leggo la fine del Pci come una delle cause dello sfondamento della destra nella società italiana, prima ancora che nelle istituzioni. Poi ci sono cause di medio periodo che riguardano le gravi responsabilità delle forze moderate del centrosinistra e quindi anche del governo Prodi, che ha ripetuto, mutatis mutandis, gli stessi errori del '96-'98; e ci sono le gravissime responsabilità di Veltroni, il quale ha agito in modo avventurista destabilizzando il quadro politico già di per sé fragilissimo, prima con la sua iniziativa sulla legge elettorale e poi gestendo la campagna elettorale all'insegna dell'autosufficienza del Pd. Ma tutto questo non ci esime da una riflessione seria sui nostri errori. Ritengo inaccettabile che quando si tocca questo argomento, il gruppo dirigente che ha avuto la maggiore responsabilità in questi anni salti su a lamentare che si voglia una resa dei conti. No, ci vuole una riflessione seria che metta in chiaro le responsabilità di chi ha commesso degli errori.

Quali errori?

In primo luogo l'errore di analisi commesso al sesto congresso di Venezia, quando si è teorizzata la permeabilità sociale dell'Ulivo. Poi si è sbagliato nei due anni del governo Prodi, per aver subito in modo subalterno la gestione moderata del governo stesso, a causa della sindrome del '98. E si è sbagliato anche nella campagna elettorale della Sinistra arcobaleno, perché si è preteso di sovradeterminare quello che era solo un cartello elettorale imposto dalla legge Calderoli e dalla decisione di Veltroni di non fare alleanze, seminando disorientamento e così favorendo l'appello di Veltroni al voto utile.

Immagino che non hai condiviso la critica di Peppino Caldarola a Berlinguer.

Naturalmente no. Getta gratuitamente fango su Berlinguer, che sicuramente ha compiuto degli errori, ma non può essere assolutamente liquidato come il padre di «sette supponenti e arroganti». Ma Caldarola io lo capisco, perché è stato con Occhetto, che non a caso nel suo articolo è indicato come colui il quale ha avuto il coraggio di fare ciò che avrebbe dovuto fare Berlinguer. Lui è coerente con le proprie scelte. Quello che invece non capisco è come si possa apprezzare da dentro il nostro partito la posizione di chi sostiene che oggi i comunisti non hanno più niente di sensato da dire e da fare. Se fosse così, allora dovremmo concludere che in questi 18 anni abbiamo solo perso del tempo; che aveva ragione Occhetto quando ha liquidato il Pci; e che oggi l'unica scelta da fare è quella di chi sta nel Pd, magari nella sinistra di quel partito. Noi siamo viceversa di fronte ad una crisi organica del capitalismo e della globalizzazione neoliberista, una crisi che rende chiaro come il capitalismo non sia in grado di risolvere le proprie contraddizioni sociali, economiche, ambientali, che alimentano il rischio di conflitti globali.

Con questa critica ti riferisci ad Asor Rosa?

Secondo me sbaglia nell'analisi, ma questi sono fatti di Asor Rosa. Trovo singolare, invece, che si consideri corretta la sua tesi proprio nel punto in cui è sprezzante e liquidatoria nei confronti di una posizione culturale e politica come quella dei comunisti, che viceversa credo siano oggi non meno di ieri in campo. Come per altro dimostra Rifondazione comunista: se c'è stata, in questi anni, la possibilità di riaprire a sinistra il conflitto e la contraddizione, lo si deve a questo partito che sistematicamente viene considerato anacronistico e inutilmente identitario da tutti quelli che sempre vogliono attingere al suo patrimonio di forze.

"Questa Rifondazione", cioè quella uscita da Chianciano, però, non piace proprio a nessuno: né ad Asor Rosa, né a Revelli, né a D'Alema...

Quelle che citi sono critiche molto diverse tra loro. Asor Rosa si richiama alla posizione della costituente di sinistra; in qualche modo è la posizione di Vendola, di Bertinotti, di Sinistra democratica. Posizione che io critico, ma con la quale sono interessato a dialogare. La posizione di D'Alema è quella, distruttiva, negativa, propria del Pd, cioè di chi ha completamente introiettato l'idea della modernizzazione neoliberista e che ancora considera la libertà del mercato come unico vettore di sviluppo e progresso, mentre in tutto il mondo ormai la si mette in discussione. E' una posizione che rende molto difficile una interlocuzione. Revelli, infine, critica il partito e il congresso da una posizione che definirei di antipolitica di sinistra: la forma partito, le istituzioni ecc. tutto questo viene liquidato in pro di una presunta autonomia del sociale come terreno di costruzione localistica di soggettività e di iniziativa antisistemica. E' una posizione che non vede che non c'è intervento sociale efficace se si separa dall'intervento politico-istituzionale.

Si dice che a D'Alema conveniva la vittoria di Vendola, mentre a Veltroni sia convenuta quella di Ferrero.

Veltroni desume dalla vittoria di Ferrero una ragione in più dell'impossibilità di accedere ad una interlocuzione concreta con il Prc e quindi una sorta di prova del nove che la scelta dell'autosuffficienza era obbligata. D'Alema, che è sempre stato un teorico della necessità di alleanze e coalizioni, avrebbe gradito la vittoria di quella componente più compatibilista e dialogante, che era quella della costituente della sinistra, cioè di Vendola, Giordano, Bertinotti, perché, viceversa, avrebbe potuto, anche ai fini del conflitto interno al Pd, tessere la sua tela contro il segretario.

Tema alleanze: Pd o Di Pietro?

Comincio dalla cosa più semplice, da Di Pietro. Condivido anche sul piano del metodo ciò che ha detto Ferrero e cioè che dobbiamo privilegiare i contenuti e i programmi. Se in questo momento c'è una componente del centrosinistra, con la quale, pur avendo poche affinità, su un tema politico (per es. il governo di una regione o la critica del governo sul piano della legalità e delle riforme istituzionali) possiamo individuare convergenze circostanziate e circoscritte, non vedo lo scandalo. Si tratta di un'unità di azione che può giovare a una iniziativa di opposizione da un lato e di costruzione di una maggioranza in ambito locale e territoriale dall'altro. Il che non mi impedisce di avere ben chiare le differenze con Di Pietro su molti terreni altrettanto importanti come le politiche economiche e sociali o le posizioni culturali. Con il Pd le cose sono molto più complicate. Quello che dobbiamo fare è un'analisi sobria e realistica di che cosa è il Partito democratico. Non solo quello di oggi, cioè di Veltroni, ma anche quello che è espressione organica delle forze moderate del centrosinistra che si sono costituite sulla base della cultura neoliberale. Fin quando tale cultura, che privilegia privatizzazioni, liberalizzazioni, tagli alla spesa e che concepisce la sicurezza come repressione della marginalità e la formazione come servizio all'impresa, resterà l'orizzonte politico di questa forza politica, sino ad allora le alleanze sul piano nazionale, cioè del governo del paese, non potranno essere più strette. Perché inevitabilmente, esse si tramuterebbero in una gestione moderata e regressiva. Questo discorso, però, non è per sempre. In politica non ha alcun senso ragionare in termini assoluti. Non è per sempre, ma ha certamente un respiro storico.

Un'ultima domanda di attualità. Facciamo questa intervista mentre si inaugurano le Olimpiadi di Pechino: stai con Gasparri o con Frattini?

Né con l'uno né l'altro. Se vuoi sono con Marco D'Eramo sul "manifesto" di oggi (ieri per chi legge, ndr). Trovo queste polemiche nei confronti della Cina inficiate da una insopportabile ipocrisia. E' chiaro che in Cina ci sono grandi problemi che però vanno inquadrati storicamente e discussi prendendo sul serio le grandi vicende del tumultuoso sviluppo e delle sue contraddizioni che questo grandissimo paese sta conoscendo. Non per giustificare ma per capire. Invece cosa si fa? Ci si accoda a quanti hanno un interesse polemico strumentale e usano, loro sì in modo turpe, il tema dei diritti umani per campagne propagandistiche. Il tema dei diritti umani bisognerebbe declinarlo in modo coerente a 360 gradi, invece di unirsi al coro di chi fa strame di tali diritti, magari facendo guerre e seminando morte nel mondo per i propri interessi e per non modificare il proprio tenore di vita scandalosamente elevato.

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