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Cara Dominijanni, a noi non sembra che la "Costituente" fosse innovazione

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Cara Dominijanni, a noi non sembra che la "Costituente" fosse innovazione Empty Cara Dominijanni, a noi non sembra che la "Costituente" fosse innovazione

Messaggio Da Ospite Sab Ago 09, 2008 12:31 am

di Simone Oggionni e altre/i

su Liberazione del 07/08/2008

La tesi che Ida Dominijanni ci ha proposto nei giorni scorsi dalle colonne del manifesto a proposito del congresso di Rifondazione comunista ha il dono della chiarezza.
Individua il dato essenziale che l'esito del congresso ci consegna («la fine, o quantomeno la pesante sconfitta, del bertinottismo») ed esprime, in conseguenza, un giudizio molto netto («a Chianciano si è abbattuta la scure del ripristino: chiusura identitaria, arroccamento solipsista, "certezza" dei simboli»).
Non si tratta - come è evidente - di un giudizio lusinghiero, perché mette in questione niente meno che il profilo strategico del nuovo corso e, nello specifico, l'incapacità della linea politica affermatasi al congresso di interrogare questa fase politica e le sue contraddizioni in nome di una rigidità passatista e ideologica che interromperebbe il circolo virtuoso della «ricerca» e della «innovazione».
Al contrario, giacché il cardine del dibattito congressuale era costituito dal confronto tra due opzioni politiche alternative (rilanciare il Prc o dare avvio ad un processo «costituente» che desse vita ad una nuova forza della sinistra), si suppone che l'ipotesi respinta (appunto la «costituente della sinistra») portasse con sé il pregio dell'innovazione e dunque della capacità di interpretare il capitalismo dei nostri giorni.
Due indicatori ci pare smentiscano questa ipotesi.
Il primo riguarda il tema del rapporto con il Pd e le forze moderate. A Venezia il nostro partito decise di entrare in un governo di coalizione senza concordare preventivamente (e porre come imprescindibili) alcune priorità programmatiche, sulla base di una lettura dei rapporti di forza nella società e nel centro-sinistra che l'esperienza fallimentare dei due anni di governo si è prontamente incaricata di smentire. Il risultato di quell'errore sono stati la catastrofe di aprile, i fischi di Mirafiori, la frattura profonda tra la sinistra e il mondo del lavoro dipendente. La proposta che Dominijanni presenta come «innovatrice» rischierebbe di condurre, se acquisita, nella medesima direzione, nella ricerca ostinata e pregiudiziale di un punto di contatto con la sinistra moderata. La proposta che noi abbiamo avanzato, invece, muove dal presupposto che nell'ultimo anno la distanza tra noi e il Pd è aumentata; e che in questi primi mesi di governo Berlusconi non vi è stata, ad opera del Pd, alcuna forma di reale opposizione. In conseguenza di ciò, riafferma il principio secondo cui il nostro partito è politicamente autonomo e dunque accede alla determinazione di alleanze soltanto sulla base di una convergenza programmatica avanzata.
Ci pare che questo nostro profilo, lungi dall'essere «minoritario», si faccia carico del tentativo di interpretare il bisogno di conflitto sociale e di riorganizzazione politica del fronte disgregato dei soggetti subalterni, molto di più di quanto non potrebbe fare una propensione «compatibilista» che, proprio in questi giorni e soltanto per fare un esempio, si esprime nella proposta di ricollocare il Prc nella giunta calabrese di Agazio Loiero.
Il secondo indicatore riguarda invece il tema, connesso al precedente, del rapporto con l'intero spettro delle forze della sinistra. Meglio: del modello di interlocuzione a sinistra.
Ciò che proponiamo è molto semplice: l'unità della sinistra (la cui necessità non è in discussione) non va costruita - come insegna il fallimento della Sinistra Arcobaleno - nelle alchimie organizzative e nella giustapposizione degli stati maggiori, ma va praticata nel vivo delle lotte e della iniziativa sociale. Per questo siamo impegnati sin d'ora nella costruzione di una mobilitazione di massa contro le politiche sociali ed economiche della destra che duri l'intero autunno e a cui auspichiamo che i sindacati affianchino la convocazione di uno sciopero generale.
Sulla difesa del contratto nazionale, sulla denuncia delle politiche di precarizzazione del lavoro, sull'invocazione di misure immediate che facciano fronte alla perdita costante del potere d'acquisto dei salari e delle pensioni è possibile definire nei prossimi mesi una unità d'azione (e, sulla base di questo, un coordinamento) che risulti utile ai soggetti sociali che intendiamo rappresentare? È possibile mettere in campo, con una piattaforma di intransigente opposizione al governo delle destre, un nuovo 20 ottobre?
Abbiamo investito su questo profilo, e sull'idea che ciò sia incompatibile con la costruzione a tavolino di un nuovo partito della sinistra nel quale confluiscano soggetti organizzati che, sul terreno concreto delle scelte e dei programmi (prima ancora che su quello della cultura politica), sono differenti e distanti. Tutto ciò è per noi cruciale, proprio perché allude (a proposito di «conservazione» e di «settarismo») ad una idea della politica che vede al centro i soggetti sociali in carne ed ossa, i conflitti e le contraddizioni che essi riescono ad esercitare e ad esprimere, e che assegna ai partiti della sinistra il compito di connetterli in una prospettiva generale di superamento del capitalismo e, contemporaneamente, quello di offrirsi come strumento della lotta quotidiana e della iniziativa sociale.
A partire da queste premesse (necessità di autonomia della sinistra di classe; pratica dell'unità sul terreno sociale) riteniamo che Rifondazione comunista sia essenziale ed insostituibile e dunque abbiamo esplicitato con nettezza la nostra volontà di rilanciarla e di investire - anche elettoralmente, sin dalle prossime elezioni amministrative ed europee - sul suo rafforzamento e sulla sua autonomia. Altro che feticismo ideologico!
Da queste considerazioni ne consegue un'ultima, che spiega le ragioni che ci hanno spinto, in presenza di un esito congressuale che non consegnava a nessuno la maggioranza assoluta dei consensi, a ricercare assiduamente una convergenza unitaria con tutte le altre mozioni: siamo convinti che l'elemento di maggiore innovazione per Rifondazione comunista coinciderebbe con una nuova modalità di vivere i rapporti al suo interno e cioè l'abbandono della presunzione di poter gestire il partito con quella logica maggioritaria che, da Venezia in poi, ha logorato le trame della nostra comune appartenenza e ha incancrenito il partito in una insostenibile divisione correntizia.
Per fare più forte la sinistra (e quindi provare a riconnettere nella società le tante forme del lavoro subalterno) è essenziale rilanciare Rifondazione Comunista e il suo progetto strategico. Non una sua parte, ma tutta Rifondazione Comunista. E la direzione collegiale, la gestione unitaria sono gli unici strumenti che rendono praticabile questo obiettivo, così arduo ma così indispensabile.

Simone Oggionni, Veronica Albertini, Irene Bregola, Francesco D'Agresta, Valentina Di Gennaro, Giuliano Ezzelini Storti, Rosita Gigantino, Elisa Laudiero, Letizia Lindi, Omar Minniti,Laura Stochino, Elena Ulivieri Giovani Comunisti, area Essere Comunisti, membri del Comitato politico nazionale del Prc

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