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L'eredità del 68.

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Messaggio Da Arser Mar Set 30, 2008 2:38 am

L'eredità del 68. 68_1


Quando si parla di 68, si intende prevalentemente un movimento riformista nato all'interno delle Università italiane e portato avanti dagli studenti che contestavano il sistema autoritario e classista della scuola italiana innestando, per la prima volta in modo efficace nelle rivendicazioni, il ruolo che l'istruzione aveva nei confronti degli individui, denunciando i meccanismi di riproposizione e mantenimento delle differenze sociali.
Il valore autentico di quella protesta, a livello politico, sociale ed economico era l'attacco alla scuola dei padroni come attacco alla società dei padroni.

Vi riporto ora, per creare uno spunto di riflessione inter nos, alcuni stralci dei documenti e delle "Carte Rivendicative" elaborati dagli studenti, i quali non si limitarono a formulare proposte di riforme universitarie, ma tesero a spiegare le ragioni profonde e lontane dell'allora malessere, e a prefigurare in una diversa struttura della scuola un nuovo tipo di società.

P.S. per qualcuno potranno sembrare vecchi.... ma teniamo conto che la Gelmini vorrebbe tornare ancora più indietro. E' con la realtà che dobbiam confrontarci. E questi documenti lo sono stati, come gli studenti che in quel tempo han portato avanti le lotte.

PER UN NUOVO 68!

Facoltà di Lettere, Legge, Magistero. Università di Torino.

DIDATTICA E REPRESSIONE
16 gennaio 1968.


-La didattica tradizionale.
[...]
Per il docente l'università è un feudo, per lo studente è soltanto un apparato repressivo, dove si esercita quotidianamente una forma di violenza che è tanto più ingiusta quanto più è mascherata sotto le spoglie delle esigenze dell'apprendimento e della formazione professionale. Gli esami, le lezioni, la perdita di tempo, l'indottrinamento, i provvedimenti disciplinari, l'imposizione dall'alto della scienza e della cultura sono tutte forme di controllo e di violenza esercitate solo sullo studente e non sembrano esserlo solo perchè gli studenti si sono assuefatti a subirle e le considreano una cosa assolutamente normale e inevitabile.
[...]
A che cosa serve l'università italiana? Serve soltanto ad indottrinare gli studenti, a renderli autoritari, e incapaci di discutere, a far perdere loro la capacità di individuare la dimensione politica e sociale di quello che studiano.
Perchè gli studenti all'università devono imparare a comandare e ad obbedire, devono disimparare a discutere, devono sapere che la Scienza e la Cultura sono proprietà privata dei docenti e che per appropiarsene bisogna sottostare alle loro vessazioni.

-La nuova didattica.
Gli studenti [...] hanno voluto riaffermare e cominciare a costruire la propria autonomia culturale e politica difronte ai docenti.
Scegliere i contenuti dei controcorsi, imparare a discutere (la scuola e l'università ci hanno fatto disimparare a discutere), studiare collettivamente e non in modo individuale, vedere l'incidenza politica e sociale di quel che si studia, imparare a pensare e a parlare autonomamente e non su comando, imparare a stabilire dei rapporti egualitari e di parità tra chi è preparato e chi non lo è, non considerare più il sapere come un privilegio e una fonte di prestigio, imparare a controllare ed a discutere con i docenti una volta che questi rientreranno all'università, [...].
[...]
La lotta contro l'autoritarismo accademico ha un aspetto didattico e uno politico. Tutte le volte che si mette in discussione il potere, anche soltanto quello baronale e feudale, delle nostre strutture universitarie, si ingaggia una battaglia politica.
Fare politica significa lottare per la contestazione e la ridistribuzione del potere. Significa sempre e comunque inserire un elemento squilibrante e disfunzionale nel meccanismo di potere del sistema sociale; il quale ovviamente reagisce.


-Paternalismo e repressione
All'inizio alcuni [docenti] hanno cominciato a sostenere che ci facevamo strumentalizzare da forze politiche esterne, che occupavamo senza sapere neppure noi perchè, per creare disordini che eran voluti e diretti da una ben identificata potenza straniera: la Cina è vicina. [...] I più decisi [...] hanno deciso di far morire l'occupazione per esaurimento interno; hanno cominciato a tenere lezioni al rettorato, hanno incitato gli studenti alla divisione (studenti buoni in rettorato, studenti cattivi a Palazzo Campana).
Per dividerli ovviamente facevano l'appello.
[...] L'idea che gli studenti discutessero, studiassero, imparassero qualcosa senza la luce eccelsa dell'indottrinamento accademico sfuggiva completamente alla capacità di comprensione dei nostri docenti. L'atteggiamento prevalente era di generica sopportazione paternalistica: fatevi i vostri esperimenti, rendetevi conto che non valete nulla e che siete soltanto dei presuntuosi, quando vi sarete stancati riprenderemo a far lezioni ed esami.
Il Senato accademico ci ha persino fatto gli auguri di Natale.
Tre gorni dopo è arrivata la polizia e ci ha cacciati da Palazzo Campana e dalla facoltà di Architettura.
Che cos'era successo?
I professori si son resi conto che stavano perdendo il controllo sugli studenti. La radice dell'autoritarismo accademico, come tutte le forme di potere autoritario, non risiede soltanto in una serie di strutture istituzionali ed economiche, ma risiede soprattutto e in primo luogo nel consenso da parte di coloro che il potere lo subiscono. L'università è organizzata in modo da creare e conservare questo consenso, cioè in modo da mantenere gli studenti in uno stato di pssività e divisione reciproca. E' questo che intendiamo dire quando affermiamo che la didattica autoritaria è una forma di violenza esercitata sugli studenti.
[...]
Ma se gli studenti sanno organizzarsi e imparano a discutere, essi riconquistano la loro autonomia e individuano rapidamente i veri problemi. La loro forza cresce e non diminuisce, la certezza di essersi messi sulla strada giusta li rafforza nella loro volontà di continuare, il loro esempio costituisce un elemento potenziale di generalizzazione dell'agitazione agli altri studenti non ancora toccati dal movimento. [...] I mezzi per dividere gli studenti hanno sempre meno presa, i discorsi sulla strumentalizzazione fanno ormai ridere tutti, le campagne denigratorie non hanno più peso.
Il muro di omertà e di silenzio creato intorno alle forme e alle motivazioni politiche dell'agitazione comincia a spezzarsi. Bisogna ricorrere alla forza.

-Andiamo avanti.
Il giorno dopo [lo sgombero], in un'assemblea convocata alla Camera del lavoro, eravamo 300. Trecento studenti il 28 dicembre, senza nessuna forma di convocazione per iscritto. Nello stesso giorno il Senato accademico, che raccoglie i massimi responsabili della gestione dell'università, non ha potuto venir convocato perchè la maggioranza dei presidi era in montagna a sciare.
Due giorni dopo abbiamo rioccupato Palazzo Campana, improvvisamente, senza aver prima organizzato la cosa, passando davanti ai poliziotti che facevano il picchetto. Lo abbiamo fatto perchè eravamo in molti; ci sentivamo forti, e volevamo riaffermare la nostra volontà di restare dentro la facoltà occupata, perchè questa è la sede legittima e appropriata per organizzarvi e svolgervi la nostra agitazione.
[...]
Si cerca di impaurire gli studenti, di creare delle difficoltà familiari ed economiche agli studenti in lotta. Si sta giocando l'ultima carta per dividerli. Se siamo convinti della giustezza del nostro movimento, dobbiamo accettare il nuovo livello di lotta che ci è stato imposto dalle autorità accademiche. [...] la nostra è una battaglia politica e non c'è lotta senza rischi.
Dobbiamo riconquistarci il diritto ad occupare le sedi universitarie quando le attività didattiche non ci soddisfano oe anzi ci opprimono. Dobbiamo andare avanti e vincere [...], perchè cedere e ritirarci oggi, perchè avere paura della polizia o delle sanzioni disciplinari, significa venir sconfitti e ritornare alla didattica tradizionale: cioè riconoscere ai professori il diritto di dividerci, di opprimerci, di manipolarci e indottrinarci, di controllarci come poliziotti durante gli anni di università e di fare di noi dei qualunqisti, degli automi, che domani andranno a lavorare per opprimere degli altri uomini o per accettare passivamente di venire oppressi.
[...]
Lottare contro la didattica autoritaria significa anche lottare contro le istituzioni e le forme di repressione che cercano di farci ritornare al punto di partenza.


Movimento Studentesco, (aprile 1968); "Documenti della rivolta universitaria", pag.263-271, Laterza.

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Messaggio Da Arser Ven Ott 17, 2008 10:35 pm

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Messaggio Da Ospite Sab Ott 18, 2008 11:05 am

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